13 Settembre 2015
Proprio ai margini di una delle più antiche strade dell’Etruria che congiungeva la Lucumonia di Chiusi con Volterra/Fiesole attraverso Monastero d’Ombrone, S. Gusmè, Monteluco, Montegrossi, in località Fonte Chiusi (toponimo etrusco) vegetava quasi sulla sommità di Monte Muro a circa 800m di altitudine un patriarca vegetale secolare. Un abete bianco autoctono (Abies Alba Mill.) di circa 40m di altezza, diametro alla base 150cm, età circa 150 anni, in ottime condizioni vegetative.

La sua maestosa chioma verde scuro svettava sulla vegetazione dominata e si poteva scorgere da km di distanza. Si tratta certamente di una delle ultime piante dei nuclei relitti sull’Appennino e su contigui rilievi dopo l’ultima glaciazione avvenuta 3 milioni di anni fa.
Infatti, dopo i vari raffreddamenti climatici durante i quali la vegetazione migrava verso sud alla ricerca di adeguate condizioni di vita, nei periodi catatermici (aumento della temperatura) si verificavano spostamenti di ritorno della stessa verso nord. Però alcuni nuclei di piante dopo l’ultima glaciazione rimasero in loco: in Toscana, ad esempio, celebre è la riserva naturale di Campolino (Abetone) nucleo relitto della specie abete rosso (Picea excelsa Mill.) ma esistono altri piccoli nuclei di abete bianco interessanti (Massa Trabaria) ed in Calabria vari popolamenti di Abies alba.
In tale quadro la pianta di abete bianco rivestiva una notevole importanza di carattere genetico-forestale e storico per le vicende della vegetazione italiana talchè il centro per la biodiversità di Pieve S. Stefano l’aveva presa in considerazione per un eventuale programma di ricerche definendola preliminarmente PIANTA PLUS, ovvero con caratteristiche fenotipiche superiori nell’ambito della specie: le piante dei nuclei relitti presentano normalmente maggiore resistenza alle avversità ambientali, possedendo quasi intatta la “variabilità genetica” del Postglaciale.
Non a caso alcune amministrazioni forestali europee per i propri rimboschimenti di abete bianco prelevano seme dalla Calabria attraverso il centro per la biodiversità di Pieve S. Stefano (AR) e cioè da “aree rifugio” della specie durante le complesse fasi delle glaciazioni. Queste provenienze si dimostrano resistenti anche alle piogge acide.

Purtroppo la sagoma di abete bianco non svetta più sulla sommità di Monte Muro: una rapida ricerca ha dimostrato ciò che si temeva, cioè che di recente è stata tagliata. Non solo, la grossa ceppaia residua era stata accuratamente coperta con terra ed abbondante frascame. Per quale motivo si è occultata la ceppaia? La pianta era fuori dal taglio forestale in corso? La legge forestale regionale prescrive, nell’ambito di tagli, il rilascio di piante monumentali o che lo diverranno. La pianta stava per essere segnalata al comune di Gaiole in Chianti, che ha avviato un censimento delle piante di interesse storico-botanico esistenti nel proprio territorio. Segnaleremo un’altra pianta della stessa specie non lontano dalla precedente più o meno coetanea anche se non possiede le caratteristiche fenotipiche.
Il centro per la biodiversità di Pieve S. Stefano (AR), se vuole, può condurre le indagini scientifiche sulle numerose piante nate dalla disseminazione naturale del grande abete ed anche su quella dell’altro coetaneo vicino abete. Il Corpo Forestale dello Stato potrebbe dare “un’occhiata” sui tagli dei monti del Chianti e sui disastrosi esboschi, tagli aventi per scopo la sostituzione di conifere esotiche, ma che lasciano molto perplessi sulle modalità tecniche per cui potrebbe esistere il pericolo del ritorno alle superfici cespugliate del 1929, rimboschite in base alla legge n. 3267 del 1923.
Adriano Gradi
Già prof. Ordinario di tecnologia del legno ed utilizzazioni forestali
Università di Padova, facoltà di Agraria
Corso di laurea di scienze forestali ed ambientali
Per tutto l’articolo in PDF clicca qui sotto
https://italianostrasiena.files.wordpress.com/2015/09/ilgiganteabbattuto1.pdf
Mi piace:
Mi piace Caricamento...
Read Full Post »