Il Monte dei Paschi è ufficialmente del mercato. L’immobilismo di un conservatorismo partitico non poteva competere con le ferree regole della finanza. La politica degli affari improntata ad un immaginario strettamente locale ha fatto i conti con una realtà globale. I sogni di grandezza di un management politico-finanziario la cui unica qualità era l’ambizione si sono infranti contro il duro realismo del mercato
La città, il paese si sono giocati con una mano di poker una banca la cui storia risale alla notte dei tempi. A poco servono ora i patti parasociali della Fondazione con fondi d’investimento americani per garantirsi qualche sgabello all’interno della banca.
Quando penso all’affair Monte mi viene in mente la caduta del regime sovietico dove gli affari hanno preso il posto dell’ideologia dirigista, o meglio si è scoperto il vero volto dell’ideologia sovietica.
Non più lo Stato ma le sue componenti oligarchiche controllano oggi l’ economia e il destino delle persone.
Siena non ha ricchezze nascoste nel sottosuolo ma un grande tesoro sopra il suolo: ora che gli assets immateriali e umani della Fondazione sono stati prosciugati è la bellezza quasi incontaminata del territorio senese che rappresenta il vantaggio comparato da valorizzare e su cui creare valore aggiunto e prospettive di vita per i suoi abitanti.
Le recenti affermazioni di uomini di partito che parlano di eco-sostenibilità del territorio ma vaneggiano il rilancio di un aeroporto in liquidazione e colate di cemento nel cuore della città per creare un ennesimo anonimo quanto disumano centro commerciale che piaccia alle tifoserie sembrano non aver capito che il territorio non è una Banca da svendere al primo fondo d’investimento o di private equity.
Non abbiamo più bisogno di uomini di partito collusi con gli affari che celano l’incapacità di immaginare e tutelare il bene comune dietro i grandi progetti il cui unico auspicio è che non vengano mai realizzati.
Luciano Fiordoni
[…] Il Monte dei Paschi è ufficialmente del mercato. L’immobilismo di un conservatorismo partitico non poteva competere con le ferree regole della finanza. La politica degli affari improntata ad un immaginario strettamente locale ha fatto i conti con una realtà globale. I sogni di grandezza di un management politico-finanziario la cui unica qualità era l’ambizione si sono infranti contro il duro realismo del mercato. La città, il paese si sono giocati con una mano di poker una banca la cui storia risale alla notte dei tempi. A poco servono ora i patti parasociali della Fondazione con fondi d’investimento americani per garantirsi qualche sgabello all’interno della banca… (continua a leggere) […]