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ItaliaOggi
Numero 073 pag. 11 del 27/3/2013
Il governatore pd toscano, Enrico Rossi, si è convertito alla decrescita voluta dai grillini
Contrordine: ora si blocca tutto
L’assessore anti A/V, da invisa che era, viene valorizzata
di Goffredo Pistelli
«Vogliamo tutelare di più il paesaggio e ridurre al minimo possibile il consumo del territorio: non sono più i tempi della dispersione delle villette a schiera e neppure quelli degli ecomostri». Parola di Enrico Rossi,
governatore piddino toscano, a commento della bozza della nuova legge regionale sull’urbanistica, resa nota dal Corriere fiorentino nei giorni scorsi. Il presidente si prepara a mettere la mordacchia ai 280 comuni del suo territorio e a legare le mani a sindaci e assessori e ai loro piani di governo, i Pgt, che hanno sostituito da tempo i Prg, piani regolatori. Un Rossi neoambientalista che cancella l’altro, quello delle infrastrutture innanzitutto, cui i toscani s’erano abituati. In questo nuovo scenario normativo, si gioca una battaglia politica non da poco, e tutta infrapiddina perché, a questo partito, appartengono sia il governatore sia la stragrande maggioranza dei primi cittadini della regione. Molti, fra questi ultimi, boccheggianti per i Patti di stabilità, che ingessano l’attività amministrativa e, di conseguenza, quella politica, vedono negli oneri di urbanizzazione fatti pagare ai costruttori, l’ultima leva finanziaria da utilizzare. Aldilà della possibilità di fare cassetta con l’edilizia, per gli amministratori locali si tratterebbe di un vero e proprio esproprio delle funzioni politiche. Governare un territorio dal punto urbanistico significa rimodellare le città, scambiando concessioni con opere di pubblica utilità ma soprattutto creare consenso: delle imprese che costruiscono, dei loro dipendenti, dei cittadini che vogliono le case. Non è un caso che i primi a protestare siano stati due amministratori molto vicini a Matteo Renzi, il quale è tutt’altro che uno dalla concessione facile e che, anzi, s’è fatto vanto d’aver adottato il modello urbanistico «a volumi zero», vale a dire imponendo che le costruzioni nuove non aumentassero il costruito pre-esistente. Contro la legge ha tuonato Titta Meucci, assessora all’Urbanistica a Firenze, dicendo che «così come è scritta, è incostituzionale» mentre il sindaco di Scandicci (Firenze), Simone Gheri, ha osservato che se «alcuni Comuni hanno esagerato con il cemento, non è possibile che, a rimetterci, siano 280 municipi toscani». Gli aspetti squisitamente politici della storia non finiscono qui e hanno a che vedere col riposizionamento politico dello stesso Rossi. Il governatore, volto della capacità amministrativa di scuola post-comunista, aveva abbracciato nel primo periodo di governo la linea dello sviluppo: sì alle infrastrutture come la Tav o l’autostrada Tirrenica, sì ai termovalorizzatori, sì alle centrali energetiche. E quando i processi partecipativi, cioè di informazione e di scelta da parte dei cittadini, previsti da una legge regionale, erano andati nella direzione di stoppare le infrastrutture, Rossi non aveva esitato ad avocare a sé la decisione finale, in base a un’altra norma sulle opere strategiche. Non solo, quando nel Fiorentino, si rischiava di perdere uno stabilimento industriale, perché uno scavo archeologico impediva i lavori della nuova fabbrica, il governatore aveva fatto spostare metri cubi di terra altrove, dando il via alle ruspe, ottenendo il plauso della Cgil ma la riprovazione di Salvatore Settis, l’ex-direttore della Normale, guru di tanti comitati ambientalisti. Ma proprio la vicenda dei reperti etruschi sfrattati, segnava l’inizio di un riposizionamento deciso di Rossi sul tema del paesaggio e dell’ambiente. Con la decisione di dire no agli ambientalisti e di difendere i posti di lavoro, il presidente aveva pestato i calli a Anna Marson, sua assessora all’Urbanistica, tecnico d’area dipietrista. Un osso duro: quando c’era stato da votare in giunta l’attraversamento di Firenze da parte dell’Alta velocità, la Marson aveva abbandonato la riunione con un altro assessore rifondarolo, entrambi contrari all’accordo con le Ferrovie.
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